giovedì 10 maggio 2018

GIALLO DI ARCE - “LA PORTA DELLA CASERMA NON È L'ARMA DEL DELITTO”

MIE CONSIDERAZIONI NON ESPLICITATE NELL'INTERVISTA
Stanno ipotizzando che una ragazza alta cm 155 abbia lo zigomo e la tempia sinistra a cm 154 d'altezza e non invece a cm 146. Sono scivolati nell'errore dell'intuizione fallace e nell'errore di fonte autorevole.
Ritengo di avere dimostrato che non vi è alcuna possibile corrispondenza fra i due corpi che avrebbero impattato, cioè, la testa della vittima Serena Mollicone con la regione zigomatica, orbitale e temporale sinistra (distante da terra da cm 146 se in posizione a talloni uniti ai cm 140 se in posizione normale) e la zona della porta dove è osservata e documentata la lesione (altezza da terra cm 154): QUINDI, LA FAMOSA PORTA CON LA QUALE CI STANNO CONFONDENDO DA ANNI NON È L'ARMA DEL DELITTO.
Spero di avere restituito la dignità all'appuntato Francesco Suprano, sospettato di avere “occultato” la c.d. “Arma del delitto”, cioè la porta e purtroppo entrato nel mirino del sospetto e della cattiva fama.

TUTTO CIÒ A PRESCINDERE DA DOVE, QUANDO, DOVE, PERCHÉ E DA CHI SIA STATA COLPITA ALLA REGIONE ZIGOMATICA-SOPRACCIGLIARE SINISTRA SERENA E POI UCCISA TRAMITE SOFFOCAMENTO.

L'INTERVISTA:
 “LA PORTA DELLA CASERMA NON È L'ARMA DEL DELITTO”
Lavorino, la pista della Procura viene considerata la “svolta” nelle indagini sul caso Mollicone. Serena potrebbe essere stata uccisa dalla porta di un appartamento della caserma di Arce. Ma si tratta di filone investigativo poco solido?
La porta al 100% non è l'arma del delitto come ci stanno raccontando da anni. Purtroppo da due  anni gli inquirenti sono preda del c.d. "autoconvincimento riverberante" di avere scoperto l'arma del delitto nella porta sequestrata nella Caserma dei Carabinieri di Arce: questo invece è sbagliato!
Lo sanno tutti ed è notizia che circola sul web dal novembre 2017 che il medico legale Cristina Cattaneo, incaricato dalla Procura di Cassino, ritiene che vi sia coincidenza tra l’ubicazione della lesione sulla porta (posta a 154 cm in media da terra) e il punto di impatto della testa di Serena Mollicone, considerata l’altezza della ragazza (155 cm), dando per scontato che vi sia stata una forte spinta del corpo, o della testa in particolare, contro la porta.
È evidente che la Relazione Cattaneo ha commesso una svista a dir poco clamorosa laddove ritiene che Serena abbia sbattuto NON con la zona temporale sinistra alta da terra non più di cm 146, bensì con la sommità del capo alto cm 155…però ferendosi al sopracciglio sinistro: sicuramente è errato fare coincidere l'altezza della ferita e/o della lesione sullo zigomo della vittima, individuata al 100% sotto la quota dei cm 146, con la lesione sulla porta individuata a quota cm 154: VI SONO ALMENO 9 CM DI DISLIVELLO! Come si fa ad andare a sbattere la tempia alta cm 146 all'altezza di cm 154? Su questa svista hanno impostato una linea investigativa fallace!
E nulla di quanto sopra cambierebbe se Serena avesse impattato contro la porta calzando gli scarponcini, così elevando la propria posizione di cm 1,5, fermo restando che in una situazione dinamica di colluttazione laddove una ragazza impatti contro una porta, non è in posizione di "attenti militare", bensì ha il baricentro (e quindi il capo) abbassati di almeno 5 cm e SICURAMENTE deve piegare la testa verso il basso e verso la direzione di moto.

Perché tanta sicurezza da parte degli inquirenti?
Innamoramento dell'intuizione, del sospetto e della tesi Siamo di fronte alla solita intuizione investigativa che diviene innamoramento del sospetto e della tesi: un insieme generato dall'errore d'équipe e dall'autoconvincimento riverberante “Più ci lavori più ci credi, e nel gruppo di lavoro tutti ci credono”. Lo stesso accadde col carrozziere Carmine Belli, ingiustamente imprigionato per 18 mesi e processato per l'omicidio di Serena, un malcapitato che venne assolto solo grazie al sottoscritto, al mio gruppo di lavoro noto come CESCRIN ed agli avvocati difensori. Se non ci fossimo stati noi avremmo un innocente condannato almeno a 24 anni, la vittima offesa con la condanna di un poveraccio, il colpevole in libertà certo della propria impunità. Ricordo che dovemmo rovesciare i convincimenti e le tesi degli investigatori, dei vari pubblici ministeri, del giudice delle indagini preliminari, dei difensori dei famigliari di Serena e del padre stesso.
Purtroppo la storia si ripete con l'intuizione degli inquirenti che la porta di legno sequestrata nella Caserma dei Carabinieri di Arce nell'alloggio dell'appuntato Francesco Suprano, sia proprio l'arma del delitto, cioè, la causa della frattura alla zona sopraccigliare sinistra e zigomatica di Serena Mollicone. Questa apoditticità sta allungando i tempi,  sta creando false aspettative e fa percorrere una linea investigativa fallace e perdente.

Lei ha recentemente inoltrato una richiesta alla Procura di Cassino: chiede siano svolti accertamenti tecnico-scientifici su due personaggi, uno dei quali non è entrato minimamente nell'inchiesta.
Occorre acquisire le impronte digitali di un personaggio entrato nelle indagini e di un pregiudicato condannato per omicidio.   Anni fa il procuratore capo di Cassino dott. Mercone ci chiese di indicargli i nominativi di soggetti in modo da comparare il loro Dna e le loro impronte papillari con quelle dell'assassino. Lo facemmo.
Il mese scorso ho consigliato/indicato/suggerito e chiesto agli inquirenti di comparare le impronte papillari di un prsonaggio entrato trasversalmente nell'inchiesta e le impronte digitali di una persona riconosciuta con sentenza definitiva l'assassino di una donna a Fontechiari, donna picchiata, fatta morire per soffocamento e poi avvolta in sacchi di nylon e sepolta, proprio con le impronte papillari ottenute dai reperti relativi l'omicidio ai danni di Serena Mollicone. La stessa linea investigativa è stata da me indicata per la comparazione del Dna dei suddetti col Dna ottenuto dai reperti relativi l'omicidio di Serena Mollicone, compresi quelli rinvenuti sulla scena del rinvenimento del cadavere.
Gli accertamenti dovrebbero servire a sgomberare il campo da sospetti, non ad incolpare nessuno.